Suicidi e crisi economica

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Jenny Ruggeri

La crisi economica sta scatenando un’epidemia di suicidi, trasversale a tutte le categorie, imprenditori e lavoratori. Che la crisi economica stia picchiando duro è un dato di fatto e molte delle persone coinvolte si trovano costrette a cambiare radicalmente approccio con la propria vita. Con tutto ciò che consegue sul piano psicoemozionale. Su alcuni sta infierendo anche il terremoto in Emilia, che sta sbriciolando non solo gli edifici ma anche le menti. Molti non sono in grado di metabolizzare il crollo del proprio mondo, non possono sopportare di veder fallire la propria impresa, di non poter pagare i fornitori, oppure di non ricevere uno stipendio e non poter mantenere la propria famiglia, allora alimentano il pensiero di voler lasciare un mondo diventato improvvisamente ostile.

In momenti come questo occorre avere o molto sangue freddo oppure molta fede. Meglio se entrambi. Avere “sangue freddo” è un modo di dire riferito alle persone che non si lasciano facilmente dominare dalle emozioni, che per definizione sono “calde” (esemplificatrici le definizioni “brucio dal desiderio”, “mi accendo come un fiammifero”, “sono rosso d’ira”, “ho un temperamento caliente”…).

Ma il non lasciarsi dominare dalle emozioni è spesso un dono legato al carattere, al temperamento, oppure deriva da un lungo e faticoso lavoro su se stessi. In quest’ambito gli psicoterapeuti e i vari programmi motivazionali svolgono sovente un ruolo di aiuto importante, suggerendo approcci e tecniche adatti. Ma anche chi riesce a tenere a bada le proprie emozioni e usa correttamente la ragione si trova a dover gestire il vuoto derivante dal fallimento del proprio modello esistenziale. E il vuoto dev’essere necessariamente riempito con qualcosa…

La domanda che oggi molti si pongono è: “Se il modello materiale ha dimostrato di essere così debole, con cosa lo possiamo sostituire?”. La risposta che a molti viene spontanea è “con qualcosa di immateriale”. Ed è allora che per molti entra in gioco la fede.

Ma cosa significa aver fede? E poi aver fede in chi e in che cosa? L’etimologia latina del temine, “fides”, già ci aiuta ad avere una prima risposta, perché la radice “fid” è la stessa del termine fiducia. Ralph Waldo Emerson nei suoi Saggi (1841/44) sosteneva che “La scontentezza è mancanza di fiducia in sé stessi, è infermità del volere”.

Aver fiducia in noi stessi è quindi buona cosa, ma ci sono momenti nei quali non possiamo bastare solo a noi stessi.

Epicuro sosteneva che “Non è tanto dell’aiuto degli amici che noi abbiamo bisogno, quanto della fiducia che al bisogno ce ne potremo servire”. Aver fiducia negli altri è quindi buona cosa, ma sappiamo che non è sufficiente per vivere bene, perché la fiducia potrebbe anche non essere sempre ben riposta. Non rimane che sperimentare la fiducia in qualcosa che ci elevi dai ristretti ambiti terreni e che ci traghetti verso gli ampi orizzonti ultraterreni.

Ogni religione o filosofia spirituale suggerisce di non lasciarsi avvincere dal mondo, pur vivendone in modo pieno le esperienze. Gesù, ed esempio, ci indica la sua strada: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14:6) e afferma “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?  ….Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena”. (Mt 6,24-34).

Non si tratta di affermazioni nichiliste, dove nulla è importante e tutto passa, dove non vale la pena preoccuparsi per nulla quindi non vale la pena vivere, ma al contrario dell’invito a vivere secondo nuovi schemi, convertendo le vecchie logiche. Sono parole mirabili anche se difficili da accettare razionalmente, infatti solo accogliendole con l’ingenuità dei bambini potremo tentare di farle nostre.

Ma a quel punto le piccole o grandi preoccupazioni verranno poste sotto una nuova luce. E la vita, ricevuta come dono, potrà realmente essere vissuta e non buttata con la convinzione di toglierci dai pasticci. Perché c’è anche la concreta possibilità che chi si suicida di pasticci ne crei tanti non solo a chi rimane, ma anche a sé stesso nell’aldilà…

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