Davos: al via la campagna che chiede regole per le multinazionali.

L’Unione europea deve sostenere l’approvazione di un trattato vincolante delle Nazioni Unite che renda le multinazionali e le grandi imprese “responsabili per le eventuali violazioni dei diritti umani”.

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Davos: al via la campagna che chiede regole per le multinazionali.

L’Unione europea deve sostenere l’approvazione di un trattato vincolante delle Nazioni Unite che renda le multinazionali e le grandi imprese “responsabili per le eventuali violazioni dei diritti umani”.

Serve dunque “un trattato legalmente vincolante delle Nazioni Unite su corporations e diritti umani, così come è necessario varare nuove legislazioni europee e nazionali per far sì che le imprese rispondano legalmente delle proprie azioni, e le persone e le comunità colpite dai loro abusi possano accedere con certezza alla giustizia”. La richiesta viene dalla campagna europea “Stop ISDS. Diritti per le persone, regole per le multinazionali”. La campagna viene lanciata oggi in occasione del World Economic Forum di Davos da organizzazioni della società civile, sindacati e movimenti, coordinati in Italia dalla Campagna Stop TTIP/CETA. La petizione internazionale STOP ISDS è stata lanciata in 16 Stati membri dell’UE e chiede alle istituzioni e ai governi europei lo stralcio delle clausole arbitrali da tutti gli accordi commerciali e di investimento in vigore e in fase di trattativa. Con la petizione si invitano, inoltre, l’UE e gli Stati membri a sostenere il raggiungimento del trattato vincolante delle Nazioni Unite sulle multinazionali e i diritti umani. Di cosa si sta parlando? Delle penali e delle clausole arbitrali inserite in molti trattati commerciali e negli accordi sugli investimenti. Queste diventano strumenti in mano alle aziende contro le politiche degli Stati e contro eventuali decisioni che in nome dei diritti possano ledere gli interessi economici delle imprese stesse. Il meccanismo denunciato è quello dell’arbitrato chiamato ISDS (Investor-State Dispute Settlement) o di Risoluzione delle controversie fra investitore e Stato, e dei suoi successivi sviluppi – la Commissione europea ha proposto una versione diversa e corretta, chiamata ICS (Investment Court System). A illustrare questo meccanismo è il rapporto “Diritti per le persone, regole per le multinazionali”, redatto da Francesco Panié e Alberto Zoratti: una raccolta di numeri, analisi ed esempi di cause intentate dalle multinazionali contro gli Stati, attraverso il meccanismo di composizione delle dispute fra investitori e Stati (ISDS). “I dati su 195 cause concluse negli ultimi trent’anni – si legge in una nota – dimostrano che in tutto il mondo gli Stati hanno dovuto pagare 84,4 miliardi di dollari alle imprese private a seguito di sentenze sfavorevoli (67,5 miliardi) o costosi patteggiamenti (16,9 miliardi). Una cifra parziale, visto che alcune cause sono segrete e altre ancora pendenti. Soldi sottratti a politiche sociali, ambientali, salariali”. Negli ultimi 25 anni, si legge nel rapporto, “il ricorso al meccanismo di composizione delle dispute fra investitori e stati si è moltiplicato, coinvolgendo sempre più spesso governi caratterizzati da un livello relativamente alto di sviluppo democratico e stato di diritto”. In pratica l’arbitrato è diventato “un’arma utilizzata dalle imprese contro gli stati che minacciano i loro profitti attraverso l’azione di governo”. Il meccanismo, spiega il rapporto, crea un sistema di giustizia parallelo: “Quando una società ritiene che il suo investimento in un paese sia stato (o potrebbe essere) danneggiato dalle misure del governo, può fargli causa per danni davanti a un tribunale arbitrale composto da tre “arbitri” esperti di diritto commerciale e degli investimenti”. Ma arbitrati di questo tipo, dicono dal rapporto, rappresentano una minaccia per la stessa democrazia e per “una vasta gamma di politiche pubbliche” perché mettono in discussione la capacità degli Stati di legiferare nell’interesse della collettività: “Sotto lo scrutinio degli arbitri commerciali possono finire politiche climatiche e ambientali, politiche per la promozione o il rispetto dei diritti umani e sociali nelle catene produttive, politiche sanitarie e di promozione dei servizi pubblici fondamentali”. Le compagnie possono infatti citare in giudizio gli Stati per nuove politiche ambientali (è accaduto in Canada), per provvedimenti che limitano la presenza di zucchero nelle bevande (due colossi del food americano contro il Messico), per quelli che aggiornano il packaging dei pacchetti di sigarette (le major del tabacco contro Uruguay e Australia). In Italia ad esempio si segnala il caso delle trivelle. “A maggio 2017 la società petrolifera britannica Rockhopper ha intentato una causa contro l’Italia, dopo il rifiuto dello stato – nel 2016 – di concedere al celebre progetto Ombrina Mare la concessione per estrarre petrolio nell’Adriatico abruzzese entro le 12 miglia marine”, spiega il rapporto. Si parla di una cifra di 350 milioni di euro, dei quali 50 milioni effettivamente investiti e gli altri 300 di “profitti attesi”. Le prime audizioni sono previste a febbraio di quest’anno. L’Italia viene chiamata in causa per il Trattato sulla Carta dell’Energia, da cui però si è ritirata nel 2014 con effetto dal 2016: accade per l’esistenza di una “clausola di sopravvivenza”, spiega lo studio, “inserita in questo e in diversi altri accordi internazionali sul commercio, che garantisce agli investimenti esteri la copertura ISDS per anni o decenni dopo l’uscita di un paese”. In questo caso, fino al 2036. Il meccanismo arbitrale in parte è cambiato per l’azione della Commissione europea, dopo la protesta della società civile nei confronti del trattato TTIP di libero scambio Ue-Usa. Spiega il rapporto che “nell’autunno 2015 la Commissione ha pubblicato una proposta di revisione del sistema da portare in tutti i negoziati in corso e futuri. Invece del “vecchio” sistema ISDS, ha ideato un “nuovo” meccanismo: l’Investment Court System (ICS), che avrebbe dovuto proteggere il diritto dei governi a regolamentare senza rischi. La proposta dell’UE, poi accettata dal Canada nel CETA, introduce per la prima volta un giudizio di appello e dispone un elenco di 15 membri tra cui scegliere a caso – volta per volta – i tre destinati a dirimere una controversia. Durante il processo, ad essi è vietato lavorare come consulenti, esperti di parte o testimoni in altre controversie sugli investimenti. Inoltre, gli atti e i documenti chiave di ciascuna causa ICS devono essere pubblicati”. Un meccanismo che non piace agli autori dello studio che lo bollano come “l’arbitrato col rossetto”. Ora dunque, in occasione del World Economic Forum, il lancio della petizione “Stop ISDS – Diritti per le persone, Regole per le Multinazionali” che chiede “l’istituzione di un trattato legalmente vincolante delle Nazioni Unite su Corporations e Diritti Umani, come di nuove legislazioni europee e nazionali, per far sì che le imprese rispondano legalmente delle proprie azionie le persone e le comunità colpite dai loro abusi possano accedere con certezza alla giustizia”. Un esempio di rinuncia all’arbitrato, dicono i promotori, viene dalla nuova versione del Nafta, l’accordo di libero scambio fra Usa, Canada e Messico, dove l’arbitrato è stato stralciato su richiesta canadese.

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