Clean Clothes Campaign: 2 italiani su 3 chiedono una moda “più pulita”.

La maggioranza degli italiani pensa che i marchi dell’abbigliamento debbano assumersi la responsabilità ambientale e sociale delle proprie filiere.

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Clean Clothes Campaign: 2 italiani su 3 chiedono una moda “più pulita”.

La maggioranza degli italiani pensa che i marchi dell’abbigliamento debbano assumersi la responsabilità ambientale e sociale delle proprie filiere.

I consumatori sarebbero quindi più consapevoli e attenti ai metodi di produzione, non solo nel settore della produzione alimentare ma anche in quello dell’abbigliamento e della moda. Lo rivela un sondaggio effettuato da Ipsos MORI per conto di Changing Markets Foundation e Clean Clothes Campaign, presentato questa mattina, che ha evidenziato che solo due Italiani su dieci (22%) ritengono che l’industria informi adeguatamente i consumatori riguardo all’impatto produttivo sull’ambiente e sulla popolazione e otto su dieci (82%) ritengono che i marchi debbano fornire informazioni sugli obblighi assunti e le misure adottate per ridurre l’inquinamento. Secondo il sondaggio, inoltre, due Italiani su tre (64%) dichiarano di non essere disposti a comprare articoli di abbigliamento da marchi la cui produzione è associata all’inquinamento e addirittura il 72% (i tre quarti degli Italiani) pensa che i marchi di abbigliamento debbano assumersi la responsabilità di ciò che avviene nelle loro catene di produzione e distribuzione e debbano garantire che i loro articoli siano prodotti in maniera ecosostenibile. Per quello che riguarda le condizioni di lavoro e di salario ben otto italiani su dieci (78%) considera importante che i marchi dell’abbigliamento dichiarino in maniera trasparente se i dipendenti che lavorano nelle proprie filiere ricevono un salario dignitoso e il 58% sostiene che non comprerebbe prodotti da un marchio che non paga i giusti compensi. “I consumatori si aspettano che i marchi si assumano la responsabilità di ciò che avviene all’interno delle proprie filiere e chiedono maggiore trasparenza sia per quanto riguarda le condizioni di lavoro sia per il rispetto dell’ambiente. I risultati dell’indagine puntano tutti verso un netto cambiamento di mentalità da parte dei consumatori i quali chiedono una maggiore assunzione di responsabilità da parte dell’industria e più informazioni”, dichiara Urska Trunk della Changing Markets Foundation. In linea generale, i marchi del lusso elencati nel sondaggio non sono considerati migliori dei marchi più economici o dei rivenditori al dettaglio. Per esempio, il 10% degli Italiani associa il marchio Gucci a una filiera ecosostenibile, contro il 13% di Zara e il 17% di H&M, nonostante ricerche condotte dalla Clean Clothes Campaign, rivelino come Gucci si rifornisca in diversi Paesi dove sussistono misere condizioni di lavoro, come la Serbia. “Le aziende del settore dovranno passare a metodi più “puliti” per soddisfare le aspettative dei consumatori. Ci stiamo rivolgendo alle aziende italiane che si occupano di abbigliamento chiedendo di seguire l’esempio di altri marchi UE e firmare la nostra Roadmap per una filiera più pulita. Abbiamo bisogno della massima trasparenza e di uno spostamento verso un modello produttivo che non distrugga la vita delle persone e gli ecosistemi naturali”, aggiunge Urska Trunk. Sempre più spesso, infine, i consumatori hanno la sensazione che l’industria della moda paghi salari troppo bassi ai lavoratori delle proprie filiere (54%) e due terzi (67%) ritiene che sia difficile sapere con certezza se gli articoli di abbigliamento che acquistano rispettano gli standard etici più alti. “I consumatori non sono più disposti a comprare prodotti di quei marchi che non pagano salari dignitosi”, dichiara Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti, sezione italiana della Clean Clothes Campaign. “Se l’industria dell’abbigliamento non si decide ad agire concretamente, convertendo la produzione verso una maggiore sostenibilità e legalità, è giunta l’ora che lo facciano direttamente i governi.”

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