Ikea aumenta lascia la Cina e produce in Italia, perché costa meno

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Negli ultimi anni il costo del lavoro in Italia è molto diminuito, e lo dicono le classifiche degli stipendi europei che mettono il nostro Paese nelle posizioni di coda. Un effetto di questa diminuzione si è già ottenuto, e probabilmente i suoi effetti si faranno sentire nel futuro prossimo generando una ripresa economica nel settore manifatturiero: costa meno produrre qui da noi che in Cina.

Tra le prime grandi aziende internazionali ad accorgersene c’è stata Ikea, il cui amministratore delegato della filiale italiana, Lars Petersson ha detto in un’intervista a Radio24 (citata anche da Filippo Santelli su La Repubblica dello scorso 11 aprile): «I nostri fornitori italiani sanno produrre articoli di qualità migliore a prezzi più bassi. E così abbiamo individuato nuove aziende italiane in sostituzione di alcune asiatiche».

In effetti già da anni Ikea produceva in Italia, che era il suo 3° Paese fornitore dopo Cina e Polonia, con un fatturato di circa 1 miliardo di euro e 2˙500 addetti in 24 mobilifici. Ma adesso la prospettiva è cambiata: è la stessa azienda svedese che cerca preferibilmente fornitori italiani e addirittura favorisce l’apertura di nuove realtà che lavorino in esclusiva per essa.

È il caso, per esempio, della Manuex di Biella (Repubblica riporta le parole del suo amministratore delegato, Giancarlo Formenti) che fino al 2010 non esisteva nemmeno come azienda, nel 2011 ha cominciato a produrre cassetti per Ikea assumendo 100 persone ed entro la fine del 2012 arriverà a 200 dipendenti – lavorando solo per Ikea in esclusiva.

Altre aziende entrate nella filiera sono a Verbania e Novara, il che ha portato il Piemonte ad affiancare le altre regioni italiane dove si produce per gli svedesi: Veneto, che aveva nel 2011 il 38% del fatturato del settore, il Friuli, che aveva il 30% e la Lombardia, che aveva il 26%.

Ma l’Italia non era il Paese dove gli stranieri non investivano perché c’era l’articolo 18 ed era impossibile gestire la flessibilità? L’Ad Petersson non pensa che il problema sia quello: «Gli ostacoli sono i tempi incerti della burocrazia e della politica».

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